Scompare con Giovanni Berlinguer un vero uomo di scienza e un vero combattente politico. Ci sono uomini – o donne — di scienza prestati alla politica e uomini – o donne – della politica che furono anche scienziati. È cosa rara una persona che sia stato, come lui, così pienamente e fino in fondo l’una e l’altra cosa insieme, con eguale impegno ed eguale passione. Diversamente da altri di noi della sua medesima generazione, e dall’esempio che aveva in famiglia, egli non volle concludersi in una sola dimensione – quella cui lo spingeva la adesione precoce, fin dai banchi di scuola, all’idea di emancipazione sociale e di liberazione umana rappresentata, allora, dal Partito comunista italiano.
Eccellente studente universitario di medicina fu contemporaneamente capace di essere abile dirigente del movimento studentesco di sinistra in tempi duri – era la fine degli anni 40 e l’inizio dei 50 del secolo scorso, quando non era facile essere comunisti in nessun luogo – fino diventare presidente (tra il ’49 e il ’53) dell’Unione internazionale degli studenti, con sede a Praga. Era una organizzazione formalmente gigantesca (cinque milioni di iscritti, un centinaio di associazioni nel mondo) non tutta di comunisti, difficile da dirigere in tempi di guerra fredda e di supremazia sovietica.
Come sia riuscito a laurearsi brillantemente – e in medicina — proprio durante quella impresa calamitosa è stato sempre per me, che ci arrivai più tardi e in materia affine alla politica, un motivo di ammirata stupefazione. E pochi anni dopo era già abilitato all’insegnamento universitario in medicina sociale. Quando, molti anni dopo, gli dissi del mio stupore, attribuì ogni merito alle sue adorate pulci, pessime protagoniste di tante orribili pestilenze, ma anche della speciale citazione a lui dedicata (come poi spiegò in un delizioso libro) dalla Accademia reale inglese della scienze: aveva trovato una nuova pulce, sarda, con qualche peluria in più sulle potenti zampine. Aveva un sorriso buono e arguto, indimenticabile.
Era capace di ironia e di autoironia, proprio perché era uomo forte e determinato come vidi ancora meglio quando ci trovammo su fronti opposti al tempo dello scioglimento del Pci.
Eravamo stati insieme nella commissione culturale del Pci in solida sintonia. Dal mio maestro Antonio Banfi avevo appreso il fastidio per una cultura umanistica che fosse incapace, come per troppo tempo è avvenuto da noi, di intendere la medesima valenza di quella scientifica. Quando ebbi la responsabilità di dirigere il settore delle politiche per la cultura, Giovanni si occupava del campo delle attività scientifiche. Organizzammo un memorabile convegno del Pci per le politiche della scienza (relatori la Levi Montalcini e Paolo Rossi, uno dei maggiori filosofi della scienza del tempo). E forse per quella nostra buona intesa, me lo mandarono in una sezione di Roma, al tempo dello scontro tra chi voleva il superamento del Pci in una nuova non precisata identità e chi pensava a un suo radicale rinnovamento che non ne distruggesse le buone ragioni, a sostenere la tesi di maggioranza, quando mi affannavo a dimostrare che il nostro non era solo un «no».
Ma ho un grato ricordo di quel giorno lontano. Perché sentivo che Giovanni esprimeva una sofferenza sincera, non diversa dalla mia sebbene con conclusioni opposte, per quel che avevano fatto i molti che, altrove, avevano sporcato indegnamente la parola e l’idealità comunista. E perciò rimanemmo amici — forse più di prima. Fui felice di sentirlo partecipe della volontà di ricostruire la sinistra quando scelse con altri di fondare il movimento della Sinistra Democratica quando i democratici di sinistra scelsero la strada che poi il Pd ha effettivamente percorso.
Giovanni ha combattuto fino allo stremo per le sue convinzioni. Si è trovato ad avere un fratello, amato e ricambiato, che è rimasto nel cuore di moltissimi. Ma egli è stato sempre fedele a se stesso, alle sue inclinazioni e alle sue battaglie. Come parlamentare comunista alla Camera e al Senato e, già molto avanti negli anni, come parlamentare europeo aderente al Pse, si è battuto senza risparmio per la causa dei lavoratori e per la causa di una ricerca scientifica libera e indirizzata al bene comune. Ha avuto anche molti onori e riconoscimenti come scienziato da diverse università del mondo e dalla presidenza della Repubblica italiana. Ma per me, e credo per tanti, egli rimane innanzitutto il compagno carissimo pacato e sorridente, acuto e buono, di cui ti sentivi felice di essere amico.